Una recente sentenza ha dichiarato la nullità del licenziamento di una lavoratrice, stabilendo che le sue assenze per malattia, derivanti da un clima lavorativo ostile e da condotte persecutorie (mobbing), non avrebbero dovuto essere considerate nel calcolo del periodo di comporto.
Il caso
La lavoratrice ha contestato il licenziamento intimato dal datore di lavoro, sostenendo che le sue assenze per malattia erano riconducibili a un ambiente lavorativo caratterizzato da forti tensioni e condotte vessatorie da parte dalla sua Responsabile. Di conseguenza, ha chiesto che fosse dichiarata la nullità del recesso datoriale per violazione dell’art. 2110 c.c. e per discriminazione fondata sull’handicap.
Le motivazioni della sentenza
Il giudice ha accolto il ricorso aderendo all’orientamento consolidato della Corte di Cassazione secondo cui un’assenza per malattia non deve essere computata nel periodo di comporto se deriva da una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.
L’istruttoria ha confermato che la lavoratrice aveva subito trattamenti umilianti e discriminatori, tra cui episodi di isolamento, derisioni pubbliche e atteggiamenti ostili da parte della sua Responsabile di reparto. Tali condotte hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di una patologia psichica, diagnosticata come disturbo dell’adattamento cronico. La perizia medico-legale, esperita in corso di causa, ha stabilito il nesso causale tra le vessazioni subite dalla lavorative e la malattia, riconoscendo la responsabilità del datore di lavoro per aver omesso di adottare misure adeguate a garantire un ambiente di lavoro sicuro e sereno.
La decisione
Il Tribunale ha accertato la nullità del licenziamento per violazione dell’art. 2110, comma 2, c.c., in quanto intimato prima del superamento effettivo del periodo di comporto. Secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 12568/2018), tale norma ha carattere imperativo perché finalizzata alla tutela della salute del lavoratore. La sua violazione comporta, quindi, la nullità del licenziamento. Ciò in quanto la violazione del periodo di comporto rientra a pieno titolo tra gli «altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge» indicati dal Jobs Act.
Pertanto, il giudice ha ordinato la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, oltre alla condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno per il periodo di estromissione, tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento fino alla reintegra.
Mobbing, comporto e responsabilità del datore di lavoro: conseguenze
Questa sentenza ribadisce l’obbligo del datore di lavoro di garantire un ambiente di lavoro sano e privo di condotte vessatorie. Inoltre, sottolinea che le assenze per malattia causate da situazioni di stress lavorativo riconducibili a una responsabilità datoriale non possono essere computate ai fini del licenziamento per superamento del periodo di comporto.
Per le aziende, la decisione rappresenta un monito sull’importanza di vigilare sulle dinamiche interne e prevenire situazioni di mobbing e discriminazione, al fine di evitare conseguenze legali e danni reputazionali.
Conclusioni
Il provvedimento si inserisce in un filone giurisprudenziale sempre più attento alla tutela della salute psico-fisica dei lavoratori e al contrasto delle pratiche discriminatorie in ambito aziendale. La sentenza non solo ha restituito giustizia alla lavoratrice, ma ha anche ribadito principi fondamentali in materia di diritto del lavoro e tutela della dignità personale.
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Avv. Fabio Caretta – Avvocato del Lavoro